< TORNA AD ARTICOLI ]

 

La vertenza punto per punto

ARTICOLO 18 - LAVORO - MEZZOGIORNO - FISCO

ISTRUZIONE E FORMAZIONE  - PREVIDENZA - SANITA'

 

ARTICOLO 18

Il disegno di legge delega approvato dal Governo è ispirato al criterio dell’abbassamento delle tutele non solo laddove punta a smantellare il cardine fondamentale rappresentato dalla reintegrazione sul posto di lavoro dei lavoratori licenziati senza giusta causa (l’articolo 18 dello Statuto dei

Lavoratori) ma anche in tutta la parte di proposte in materia di rapporti di lavoro flessibile. L’impronta è quella della precarizzazione dei rapporti di lavoro, della prevalenza del rapporto individuale sulla contrattazione collettiva, della riduzione del rapporto di lavoro a rapporto commerciale privando il lavoratore della protezione cui oggi ha diritto in quanto parte contraente debole.

Per la CGIL è centrale la richiesta di stralciare dal disegno di legge delega approvato dal Governo l’articolo 10 contenente la sostanziale abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e l’articolo 12 che promuove l’arbitrato senza vincolo di legge o contratto in materia di lavoro.

 

LAVORO
- Occupazione

In Italia ci sono due milioni di disoccupati. Oltre 1.200.000 lo sono da più di dodici mesi. Solo un disoccupato su tre ha un sostegno al reddito.  Salvo rare eccezioni, la condizione è che abbia lavorato negli ultimi sei mesi.

Il sostegno consiste nel 40% dell’ultima retribuzione (30% per gli stagionali che hanno maturato solo i requisiti ridotti) per un massimo di sei mesi. La spesa media per ogni beneficiario è stata nel 1999 (ultimo dato disponibile) di lire 6.616.246 lorde.

Meno del 10% dei disoccupati di lunga durata riceve una qualche formazione professionale finanziata con fondi pubblici.

I giovani disoccupati, di meno di 24 anni, sono più di un milione e solo un quarto di essi riceve una formazione professionale o una istruzione scolastica.

Una politica dell’impiego che rispetti le indicazioni della strategia europea per l’occupazione deve combinare in modo appropriato politiche attive di promozione dell’accesso al lavoro e politiche passive di sostegno al reddito.

Il disegno di legge delega approvato dal Governo non risponde a nessuno di questi criteri e non risolve nessuno di questi problemi.

Quanto alle politiche attive, si configura un ruolo esclusivamente residuale per i servizi pubblici all’impiego e si lancia l’idea di spostare tutto l’intervento sul mercato. Coerentemente con questa impostazione nella Finanziaria 2002 gli stanziamenti destinati alle Province a questo titolo sono stati decurtati: sia quelli per l’avvio dei centri (100 miliardi) che quelli derivanti dal risparmio di spesa per la stabilizzazione degli LSU.

La CGIL chiede che sia assicurato il sostegno finanziario minimo da parte dello Stato per far partire i servizi per l’impiego, sulla scorta di quanto richiesto anche dall’UPI. Il fabbisogno per

    • informatizzazione,
    • locali e attrezzature,
    • formazione degli addetti,
    • nuove assunzioni di personale

misurato sull’esigenza di rispondere ai parametri fissati dall’Unione Europea), è stimato in 1.000 miliardi aggiuntivi rispetto allo stanziamento attuale, da sommare alla dotazione del Fondo Sociale Europeo. Una quota di risorse di entità grosso modo corrispondente è a carico delle Province.

Quanto alle politiche di sostegno al reddito, il Governo ha deciso di non onorare gli impegni pluriennali che i precedenti Governi avevano assunto in direzione di un rafforzamento delle tutele e di lasciare invariata la situazione attuale: copertura al 40% dell’ultima retribuzione per la disoccupazione industriale ordinaria (del 30% per quella a requisiti ridotti) per soli sei mesi.

La CGIL chiede che sia garantito a tutti i disoccupati un sostegno al reddito pari al 60% dell’ultima retribuzione, indipendentemente dai requisiti maturati, per un periodo di un anno, incrementabile per particolari situazioni, e un reddito vitale minimo pari alla quota esente da imposizione.

Una misura di questa portata comporta un onere annuo tra i 30 e i 35 mila miliardi, con il tasso di disoccupazione attuale.

L’incremento rispetto alla spesa attuale è tra i 10 e i 12 mila miliardi.

In un’ipotesi di gradualità di 3 - 5 anni, lo stanziamento iniziale dovrebbe essere pari almeno a metà: tra i 5 e i 6 mila miliardi, a carico del bilancio dello Stato già da quest’anno.

Non è del resto immaginabile un incremento degli oneri contributivi, se non per le imprese oggi esenti che invece, in un’ipotesi di copertura universale, dovrebbero essere soggette ad imposizione.

La CGIL chiede inoltre che sia estesa ai settori oggi esclusi la copertura dal rischio di riduzione temporanea di occupazione per ristrutturazione o per crisi contingente, in costanza di rapporto di lavoro, con un finanziamento su base contributiva integrativo della quota universale a carico dello Stato.

La contribuzione dovrà essere:

  • commisurata al rischio, per macro-settori;
  • rapportata alla differenza tra la copertura base offerta dal trattamento di disoccupazione e quella (80%) da assicurare in queste particolari evenienze, mantenendo in vigore una forma di prelievo straordinario a carico delle imprese che ricadano nella situazione di crisi.

Per i casi di esuberi strutturali, la CGIL chiede che siano mantenute sostanzialmente invariate le procedure attualmente vigenti per la mobilità, sia per ciò che riguarda la convalida della sussistenza della situazione di crisi, sia per il sostegno al reddito ricalcando, quanto a misura e procedure, quelle per crisi contingenti.

Si dovranno inoltre prevedere specifiche procedure di concertazione a livello territoriale per la gestione della ricollocazione professionale dei lavoratori in esubero, con un coinvolgimento diretto delle imprese nelle quali si verificano tali circostanze sia per ciò che riguarda l’attivazione degli strumenti di riqualificazione professionale e le altre forme di intervento attivo, sia per ciò che riguarda un contributo, sotto forma di prelievo straordinario, al finanziamento del sostegno al reddito.

Nel rispetto del criterio della separazione contabile e gestionale della previdenza dall’assistenza il Fondo per il sostegno al reddito dei disoccupati, secondo le linee qui descritte, dovrebbe avere una gestione autonoma o, al limite, separata da quella della AGO.

In un contesto di promozione dell’accesso al lavoro è fondamentale il ruolo della formazione, strumento di politica attiva per eccellenza. Il disegno di legge delega approvato dal Governo da questo punto di vista è assolutamente insoddisfacente in quanto non dà risposta all’esigenza di riforma degli attuali contratti a causa mista, mantenendo in piedi sovrapposizioni e ambiguità che tendono a perpetuare un loro uso opportunistico.

Per la CGIL occorre rivedere completamente i rapporti di lavoro a contenuto formativo, sia quanto alle norme che li regolano sia per ciò che riguarda il sistema di incentivazione. Si devono prevedere due soli istituti:

l’apprendistato, per i giovani fino a 24 anni (29 se laureati)

il contratto di inserimento per gli adulti con difficoltà di collocamento

    • disoccupati di lunga durata,
    • donne che rientrano nel mercato del lavoro,
    • over 55,
    • altre fasce di esclusione sociale da individuare regionalmente.

L’incentivo deve essere rivolto esclusivamente a alleggerire gli oneri di formazione effettivamente sostenuti e a promuovere la stabilizzazione a tempo indeterminato (a tempo pieno o parziale, il secondo purché su base volontaria).

La legge deve regolare i requisiti per l’accesso al finanziamento e dunque gli standard formativi minimi e l’obbligo delle ore di formazione esterna previste dalla legge vigente..

Deve inoltre fissare tutele inderogabili a protezione del lavoro dei minori e a salvaguardia del peculiare contenuto formativo per loro richiesto in costanza di obbligo formativo.

Per il resto la regolazione dei rapporti di lavoro può essere demandata alla contrattazione collettiva di categoria dei lavoratori dipendenti.

 

- Lavoratori atipici e discontinui

La quota di lavoratori cosiddetti atipici sull’occupazione è aumentata in modo molto consistente in questi ultimi anni anche per effetto di un’assenza di regole tali da assicurare una tutela efficace di queste forme di rapporto di lavoro.

Nonostante generiche affermazioni di principio in favore della estensione di tutele alle aree oggi meno tutelate, il disegno di legge delega approvato dal Governo lascia senza risposta le esigenze di queste aree di lavoratori ed aumenta semmai a dismisura il menù di opzioni flessibili a disposizione dei datori di lavoro senza ristabilire in nessun modo un bilanciamento di diritti ed una protezione.

La CGIL rivendica che per tutti i lavoratori economicamente dipendenti, quale che sia la forma specifica che regola la prestazione, siano previste e rese concretamente esigibili le tutele fondamentali previste dalla Costituzione in materia di libertà personali, diritti sindacali, salute e sicurezza, retribuzione, assistenza e sicurezza sociale, così come era stato tentato di fare come primo passo nella scorsa legislatura con il disegno di legge Smuraglia relativo ai collaboratori coordinati e continuativi, incontrando l’opposizione violenta e pregiudiziale di Confindustria e delle forze politiche dell’allora opposizione.

In un’ottica di estensione di tutele tipiche del lavoro subordinato a sostegno di situazioni di discontinuità lavorativa e di incertezza quanto a responsabilità delle controparti, occorre intervenire anche su:

- sostegno al reddito: nei periodi di assenza di commesse vale la regola generale per il sostegno al reddito dei disoccupati; si devono inoltre individuare le forme di prelievo contributivo e/o fiscale, rivedendo in questa ottica le norme della Finanziaria 2002 in modo che il maggiore carico contributivo sia finalizzato a questo scopo

- formazione: occorre inoltre istituire un Fondo di entità paragonabile a quello sul lavoro temporaneo, con modalità di gestione affidate alla rappresentanza dei lavoratori parasubordinati, non essendo date le condizioni per forme di bilateralità stante le caratteristiche della committenza ben diverse da quelle di un datore di lavoro;

- previdenza: occorre garantire la copertura previdenziale pubblica per i periodi di non lavoro e l’accesso a forme di previdenza complementare;

- assistenza: occorre garantire, con forme specifiche, l’effettività di alcuni diritti riconosciuti in forma universale a chi lavora, quale il reddito garantito nel periodo pre e post parto ovvero il sostegno per i carichi familiari.

 

- Sommerso

La legge approvata dal Governo per il condono del sommerso si è rivelato un fallimento, come la CGIL aveva puntualmente previsto dato il carattere esclusivamente tributario, la totale assenza di meccanismi contrattuali e la mancanza di soluzioni eque al problema dei diritti indisponibili dei lavoratori in materia retributiva e pensionistica.

Una strategia efficace contro il sommerso resta invece un tassello fondamentale di qualunque politica a favore dell’occupazione, della qualità del lavoro, della legalità. I fatti hanno dimostrato come fossero falsi e strumentali i proclami di Confindustria in questa materia, volti solo a lucrare condoni e sanatorie.

Per la CGIL occorre riprendere il cammino interrotto, mettendo di nuovo al centro della lotta al sommerso la contrattazione collettiva e ripristinando le condizioni necessarie di funzionalità degli organi di vigilanza e di controllo.

Esaurita ormai la fase dei contratti di riallineamento retributivo, la contrattazione deve coinvolgere gli altri attori locali nel disegnare percorsi di emersione sostenuti e aiutati con incentivi alla legalità che siano anche di sostegno alla competitività e che abbiano al centro un’offerta adeguata di infrastrutture e servizi: dai locali alla logistica, dalla compatibilità ambientale alla messa a norma per la sicurezza, dall’accesso al credito alla gestione amministrativa, dallo snellimento delle procedure burocratiche alla protezione dalla criminalità.

E’ solo all’interno di questi processi che possono trovare posto, in termini efficaci e non controproducenti, gli incentivi di carattere fiscale a carico dello Stato.

 

 

- Flessibilità

Occorre ristabilire le condizioni di rispetto rigoroso dei principi fissati nelle direttive europee tornando al criterio del giusto bilanciamento di flessibilità e tutele che ha permesso significativi avanzamenti nella situazione dell’occupazione negli anni tra il 1999 e il 2001.

Per la CGIL deve pertanto essere rivisto il decreto legislativo in materia di contratti a tempo determinato ripristinando le norme che assegnano un ruolo centrale alla contrattazione e che vincolano il ricorso a questa forma di rapporto di lavoro alla sussistenza di ragioni oggettive.

Occorre inoltre confermare il quadro di regole stabilito per il lavoro part-time. Per rimuovere le rigidità che tuttora si frappongono alla sua diffusione, occorre completare il quadro introducendo due norme-chiave, tuttora assenti nel nostro ordinamento benché di fondamentale importanza anche alla luce delle esperienze dei nostri partner europei dove il ricorso a questa forma di lavoro si è diffusa maggiormente:

  • il riconoscimento del trattamento di disoccupazione nei casi di part-time verticale per i periodi non lavorati;
  • il divieto per le aziende di frapporre rifiuto, ovvero di porre tetti quantitativi massimi, a eventuali domande di conversione di rapporto da tempo pieno a tempo parziale,

a meno di ostacoli tecnico organizzativi insormontabili da parte dell’impresa, documentabili e con onere di prova a carico, ferma restando la reversibilità in base al principio della volontarietà.

Deve inoltre essere finanziata la norma della legge Treu (articolo 13 della legge 196/97) che incentiva le rimodulazioni di orario n diminuzione con aumento di occupazione.

 

 

MEZZOGIORNO

Le politiche mirate per il Mezzogiorno vanno collocate in un'idea dello sviluppo complessivo del Paese fondata sulla sua qualità alta. Il silenzio del Governo sul Mezzogiorno, registrato prima con la manovra dei 100 giorni e poi con la Finanziaria, è assordante.

Il disegno della Confindustria e del Governo punta soltanto a precarizzare e a dequalificare il lavoro al Sud basandosi sulla tesi infondata, quanto sciagurata, secondo la quale l'occupazione del Mezzogiorno possa aumentare solo a condizione che si deroghi dai diritti fondamentali, a partire dalla libertà di licenziamento.

La crescita e lo sviluppo del Mezzogiorno ha bisogno di una affermazione piena della legalità e un preciso contrasto alla criminalità e alla mafia.

Non giova a questo fine l'aggiramento della legge Merloni e delle prerogative delle istituzioni pubbliche che si prefigge la Confindustria con le Fondazioni che dovrebbero attivare progetti infrastrutturali nel Sud.

La CGIL rivendica nei confronti del Governo, delle Regioni e delle Organizzazioni imprenditoriali una svolta espansiva nella politica di sviluppo del Mezzogiorno non affidata esclusivamente ai meccanismi del mercato, ma articolata su adeguati interventi di sostegno alla domanda e al sistema produttivo e dei servizi.

Occorrono politiche per la ricerca, l'innovazione, il rafforzamento della dotazione infrastrutturale.

In particolare sono urgenti politiche di riequilibrio dello sviluppo e quindi interventi mirati per il Sud e le aree depresse attraverso:

  1. il ripristino del flusso di finanziamento di risorse per la programmazione negoziata e le politiche di incentivo a favore delle aree depresse;
  2. un progetto di infrastrutture materiali e immateriali (viabilità, alta capacità ferroviaria, portualità, logistica, energia idrica, telecomunicazioni);
  3. l'utilizzo corretto e tempestivo dei Fondi comunitari;
  4. un programma di attrazione al Sud di investimenti, dalle aree sature del Nord e dall'estero sostenuto da forti incentivazioni, come la possibilità di cumulare il credito d'imposta per il Sud alla Tremonti bis.

 

 

FISCO

La legge delega sul fisco non è stata oggetto di confronto con il sindacato.

Ciò è di eccezionale gravità per le strette connessioni che esistono tra politica fiscale e politica dei redditi e per le ricadute che deriveranno, da questo provvedimento, sulle condizioni economiche e di vita dei lavoratori e dei pensionati.

La delega apre uno scenario preoccupante e, privilegiando in maniera fortemente sperequata i ceti più abbienti, infligge una ferita profonda alla coesione e alla giustizia sociale.

La delega è priva dei principi minimi necessari a indirizzare il Governo nella emanazione dei decreti legislativi. Essa tranne per l'imposta sulle società, appare essere sostanzialmente in bianco e quindi spossessa il Parlamento di una delle sue funzioni essenziali: quella di decidere sulle tasse che devono pagare i cittadini. Il disegno di legge è privo di copertura e quindi c'è il rischio che le riduzioni fiscali promesse o non siano realizzate, a causa di una mancata crescita delle basi imponibili in grado di compensare la perdita di gettito, o comportino, in una successiva fase, la riduzione della spesa pubblica. La relazione alla delega, infatti, ipotizza una drastica riduzione del perimetro dell'intervento pubblico e, in particolare, del welfare.

In materia di IRPEF la delega prevede due soli scaglioni con aliquota al 23 per cento fino a 100 mila euro e al 33 per cento, oltre. Questa impostazione, che annulla la progressività, non trova paragoni nella UE e negli stessi Stati Uniti. La delega inoltre non indica criteri chiari né sulla determinazione delle soglie esenti, né sul sistema di deduzioni che dovrebbe sostituire l'attuale sistema di detrazioni. La proposta inoltre, non prevede una specifica deduzione supplementare per i lavoratori dipendenti che oggi godono di detrazioni più consistenti di quelle dei lavoratori autonomi (che possono portare in deduzione analitica le spese di produzione di reddito). Tutte le simulazioni effettuate, anche nel caso di ingenti perdite di gettito, vedono penalizzati i redditi degli operai, degli impiegati e dei pensionati, mentre i maggiori benefici si concentrano sui contribuenti più ricchi.

In questo modo il disegno di legge viola i principi di solidarietà e di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione e quello di progressività di cui all'art. 53 della nostra Carta fondamentale. La delega inoltre, non affronta il problema di milioni di soggetti incapienti che, a motivo del basso livello di reddito, non possono fruire di deduzioni e detrazioni.

Per la CGIL è fondamentale che:

  1. la riduzione dell'imposizione privilegi pensionati e lavoratori a reddito medio-basso; occorre pertanto un giusto numero di scaglioni e di aliquote e un'aliquota massima superiore al 40%;
  2. la riduzione del prelievo statale non produca, attraverso l'aumento dell'imposizione locale, un incremento di quello complessivo;
  3. la riduzione della pressione fiscale non comporti il sacrificio delle politiche sociali, di quelle per l'istruzione e la formazione, degli interventi per lo sviluppo e la ricerca. La spesa sociale va, anzi, riqualificata e aumentata al livello medio europeo per finanziare il Reddito Minimo di Inserimento, politiche per l'autosufficienza degli anziani, la riforma degli ammortizzatori sociali.

La CGIL chiede pertanto di indicare le soglie individuali e familiari di esclusione dall'imposizione determinando con precisione il quadro delle detrazioni e deduzioni con particolare riferimento ai minori, ai portatori di handicap, al lavoro di cura e di assistenza, alla formazione. Per la casa va stabilita parità di trattamento fiscale tra proprietari ed inquilini. Una specifica attenzione va riservata ai pensionati prevedendo il rafforzamento e l'estensione di specifiche detrazioni commesse all'età finalizzati anche al recupero del potere di acquisto delle pensioni.

La CGIL rivendica inoltre la previsione di specifiche detrazioni per le spese di produzione di reddito sostenute dai lavoratori dipendenti e dai collaboratori coordinati e continuativi. e la previsione di un credito di imposta compensabile e/o rimborsabile per i contribuenti che non siano in condizione di fruire completamente di deduzioni e detrazioni.

In materia di evasione fiscale il ministero dell'Economia e delle Finanze stima in circa 150 miliardi di euro l'imponibile evaso. Invece di introdurre misure forti per ridurre il livello di illegalità fiscale, il Governo annulla la punibilità del reato di evasione fiscale anche per le violazioni di maggior rilevanza e introduce il concordato preventivo triennale che rischia di rendere inefficaci gli studi di settore.

La CGIL chiede che la delega venga integrata con una specifica attenzione all'amministrazione finanziaria e da normative che consentano un efficace contrasto dell'evasione e dell'elusione fiscale.

Quanto alla tassazione delle rendite finanziarie, la CGIL condivide la proposta di omogeneizzare l'imposizione su tutti i redditi di natura finanziaria ma respinge la proposta del Governo di un'aliquota unica al 12,5 per cento che finirebbe col dare un ulteriore colpo alla progressività sostanziale del sistema fiscale . L'aliquota unica va fissata ai livelli medi europei e in misura non inferiore a quella prevista per il primo scaglione Irpef.

In materia di tassazione e sviluppo la riforma contenuta nella delega non si pone l'obiettivo di rendere finanziariamente più forti le imprese italiane e più sviluppati i nostri mercati finanziari.

La CGIL rivendica un sistema di fiscalità di impresa che premi chi si patrimonializza, chi fa ricerca, chi innova, per innalzare in termini qualitativi la competitività dell'apparato produttivo del Paese. La CGIL rivendica altresì, la riduzione del cuneo fiscale e contributivo che grava sul lavoro, dando priorità al lavoro dequalificato così come suggerito dall'Unione Europea.

Il Governo, sul punto cruciale del federalismo fiscale, non avanza nessuna proposta, mentre occorre provvedere con urgenza alla normativa nazionale di coordinamento della fiscalità locale prevista dall'art. 119 della Costituzione come recentemente modificato. Occorre infatti che i diritti sociali di cittadinanza siano uguali a prescindere dalla regione in cui si risiede. In questo quadro la soppressione dell'Irap (imposta a cui è affidata parte rilevante del finanziamento del Servizio Sanitario) apre enormi problemi di ordine costituzionale e finanziario.

La CGIL rivendica certezza di finanziamento per il Servizio Sanitario Nazionale: l'Irap non va soppressa, ma riformata a favore delle piccole imprese e, soprattutto, delle imprese a più alta intensità di lavoro.

 

 

ISTRUZIONE E FORMAZIONE

Sull’istruzione e sulla formazione si sono concentrati in pochi mesi oltre una decina di provvedimenti tesi a modificare tutto l’impianto riformatore definito negli anni scorsi ed in corso di attuazione.

I filoni di intervento possono essere così riassunti:

  • Un consistente sostegno alle scuole private (trasferimento di risorse; utilizzo delle risorse riservate alla scuola statale; privilegi normativi che le rendono più forti rispetto a quelle di stato; assenza del benché minimo controllo; immissione in ruolo di 20.000 docenti di religione cattolica con requisiti decisi dall’autorità ecclesiastica; revisione degli esami di stato);
  • Blocco dei processi di integrazione tra istruzione e formazione e disinteresse per una formazione rivolta all’intero arco di vita delle persone;
  • Ostacoli al funzionamento delle scuole autonome e evidenti tentativi di ritornare ad un Ministero centralizzato e a scuole anonime.

Le politiche sul personale sono duramente coerenti con questo impianto: si taglieranno oltre 34.000 posti di lavoro nei prossimi tre anni fra gli insegnanti, come anticipo di una ben più vasta riduzione, e circa 50.000 posti fra il personale ATA. Si riducono gli stanziamenti in bilancio e si vuole riportare il contratto degli insegnanti sotto il controllo politico del Ministero.

L’efficientismo del Ministro Moratti non sta producendo risultati neanche dal punto di vista del funzionamento della scuola ed i tanti problemi sono sempre più pesanti.

Il disegno di legge delega di riforma della scuola, recentemente approvato, riporta indietro di decenni l’orologio della storia del nostro Paese quando studiare era un privilegio per pochi e lavorare una condanna per troppi.

Con la delega si sottrae ogni discussione al Parlamento ed al Paese come se la scuola fosse di proprietà di questo Governo.

Non si punta, come chiede l’Europa, ad innalzare i livelli d’istruzione per tutti ma solo per un gruppo ristretto e socialmente forte.

Si abolisce l’obbligo scolastico previsto dalla nostra Costituzione creando il far west dell’istruzione perché, non più garante la Repubblica, ognuno si arrangerà secondo il suo reddito ed il territorio nel quale vive.

E’ inaccettabile l’anticipo dell’iscrizione nelle scuole elementari (che vedrebbero convivere nella stessa classe bambini con fino a 20 mesi di differenza) così come è sbagliata l’istituzione di un sistema, dopo la scuola media, rigidamente separato tra la scuola che conta (il liceo) e quella che consegna al mondo del lavoro.

 

La Cgil vuole una scuola pubblica, laica, di qualità per tutti e in tutto il Paese.

Il patrimonio di sapere ed il suo costante incremento sono il metro del progresso civile, democratico e sociale di un Paese. Questo è stato deciso dal Ministri dell’istruzione europea. Coerentemente, il nostro obiettivo è quello che i sistemi scolastici contribuiscano a costruire l’Europa dei cittadini, dei diritti, della cultura.

L’innalzamento dei livelli di istruzione di tutti, la garanzia di un qualificato sistema di educazione degli adulti, lo sviluppo di luoghi di integrazione fra istruzione e formazione rappresentano i cardini della nostra proposta.

I nostri obiettivi sono i seguenti:

  • Sostegno ai processi di riforma in corso, a partire dallo sviluppo dell’autonomia scolastica, perché la scuola ha bisogno di certezze e non è possibile che ad ogni governo cambino le regole di funzionamento;
  • Risorse per lo sviluppo dell’autonomia scolastica contro ogni centralismo, sia esso statale che regionale;
  • No alla delega sulla riforma dell’istruzione perché la scuola non è la proprietà privato di alcuni e tutti debbono poter contribuire alla sua riforma e controllarne l’applicazione;
  • La scuola che vogliamo ha l’ultimo anno di scuola dell’infanzia obbligatorio; almeno 10 anni di obbligo, impedisce scelte irreversibili nella secondaria mediante scambi e confronti tra i canali concorrenti all’attuazione dell’obbligo formativo a 18 anni;
  • Vogliamo una trasparente e corretta gestione della legge sulla parità, nel rispetto del divieto costituzionale di trasferire risorse alle scuole private;
  • Vogliamo organi collegiali democratici e partecipativi, non la brutta copia di consigli di amministrazione quasi che i diritti dei ragazzi fossero merci da consegnare al mercato.
  • Vogliamo risorse per acquisire con il contratto retribuzioni europee per i docenti, come convenuto con il precedente Governo, e per retribuire adeguatamente le professionalità del personale ata;

Vogliamo una rapida chiusura del contratto della Formazione professionale convenzionata scaduto ormai da cinque (!) anni contro ogni tentativo di annullare il contratto nazionale.

PREVIDENZA

Il disegno di legge delega approvato dal governo s’ispira direttamente alle proposte avanzate da Confindustria nel convegno di Parma. Queste puntano al drastico ridimensionamento del sistema pensionistico pubblico con la decontribuzione e l’obbligatorietà della previdenza complementare.

 

 

 

SANITA'

La legge n. 405 del 16 novembre 2001, nel definire le risorse disponibili per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, riconosce alle Regioni la libertà di scegliere modelli gestionali differenti per la gestione degli ospedali e dei servizi.

Le legge finanziaria 2002 prevede la privatizzazione degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) attraverso la loro trasformazione in Fondazioni.

Il decreto che recepisce l’accordo Stato-Regioni del 22 novembre 2001 e definisce i livelli essenziali di assistenza dovuti a tutti i cittadini italiani nell’ambito del Sistema sanitario nazionale, lascia discrezionalità alle Regioni, sia per l’individuazione dei farmaci gratuiti e di quelli soggetti a ticket, sia per la modalità di erogazione delle prestazioni appropriate ed essenziali.

L’insieme di questi provvedimenti mette in discussione l’universalità e l’uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale e quindi l’equità del Servizio sanitario regionalizzato.

L’obiettivo è quello di privatizzare i servizi più remunerativi e di garantire l’assistenza sanitaria solo ai più poveri.

La Cgil considera la salute un diritto di cittadinanza inalienabile e perciò sostiene la necessità di un Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico. .

^ Top ^