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EPPURE QUALCOSA E’ CAMBIATO

L’approvazione in prima lettura da parte del Consiglio dei Ministri del decreto sulla secondaria conferma la decisione, presa dai responsabili scuola dei partiti del centrodestra, di andare avanti comunque, nonostante la sconfitta elettorale delle regionali.

Decreto secondaria: missione impossibile?

È pur vero che immancabilmente il centrosinistra si è nel frattempo dato da fare per ridare fiato all’azione governativa, ma il tentativo di completare l’iter del decreto entro la scadenza formale (il 17 ottobre scade la delega) e quella sostanziale (a novembre/dicembre deve essere pronta la macchina amministrativa per permettere le iscrizioni a gennaio) non sarà in ogni caso una impresa facile.
I tempi sono effettivamente ristretti (il tempo medio di approvazione dei precedenti decreti è stato di otto mesi), inoltre, Parlamento (l’opposizione è sul piede di guerra e la maggioranza è tuttaltro che compatta) e Conferenza delle Regioni non faranno ponti d’oro al decreto.
Vasco Errani, Presidente dell’Emilia Romagna, a nome di tutte le Regioni, ha già dichiarato che non ci sarà alcuno sconto, lamentando il non coinvolgimento delle Regioni nella definizione finale dello schema di decreto e rivendicando il diritto a entrare nel merito per la realizzazione della necessaria intesa.
In questo quadro l’unica possibilità del governo di approvare definitivamente il decreto in tempi utili consiste nel blindare il testo, continuare a non ascoltare nessuno, forzare anche istituzionalmente nel rapporto con le Regioni e il Parlamento e arrivare alla meta comunque, costi quel che costi.
A che serve allora approvare una riforma senza consenso né condivisione? Non certo alla sua possibile e proficua attuazione. Serve solo alle prossime campagne elettorali (le politiche del 2006 e la corsa a sindaco di Milano della Moratti) per poter affermare “Sulla scuola abbiamo attuato il programma: obiettivo raggiunto”.
In realtà l’unico risultato conseguito consiste nell’aver indebolito e impoverito la scuola pubblica, per il resto non è cambiato nulla, nessun punto e a capo, casomai progressivo declino, e, soprattutto, nessuna riforma attuata. Il disegno controriformatore non ha fatto il suo ingresso nella scuola reale, è rimasto un orizzonte minaccioso, rifiutato e non applicato nelle scuole grazie agli spazi legittimi dell’autonomia scolastica tutelata dal nuovo Titolo V della Costituzione.
Così è andata per il ciclo primario e così andrà per il secondo ciclo, visto il ruolo determinante affidato dallo stessa norma costituzionale alle Regioni, ora in gran parte contrarie alla Legge 53/03.

Cancellare o modificare?

La CGIL, che dall’inizio si è opposta all’intero disegno controriformatore, continuerà a contrastarne l’attuazione insieme a CISL e UIL, contrarie nel merito e nel metodo ai decreti attuativi, utlilizzando tutte le prerogative a disposizione, a partire da quelle contrattuali, che hanno fino ad oggi permesso, ad esempio, di confermare il gruppo docente corresponsabile nel ciclo primario al posto del tutor.
Meno lineare la posizione di Confindustria. Gianfelice Rocca, vicepresidente con delega all’Education, si dichiara soddisfatto perché con l’approvazione del decreto “è stata finalmente completata la nuova architettura della scuola secondaria”. Lo stesso qualche tempo prima riferendosi al canale professionale regionale introdotto dalla legge 53 dichiarava: “Il tipo di competenze, essenzialmente pratiche ed esecutive acquisibili nei percorsi di istruzione e formazione non metterebbero le aziende italiane del settore in condizioni di competere sul piano manifatturiero, essendo i costi di produzione dei concorrenti assai più bassi dei nostri. L’Italia può competere solo sul piano dell’innovazione, che richiede non competenze tecniche esecutive ma inventività, fantasia, progettualità, insomma cultura”
La Confindustria è, quindi, convinta che il sistema professionale regionale non sia in grado di assicurare un sapere sufficiente per l’esercizio della cittadinanza e per lo sviluppo della competitività del paese, infatti si è battuta per la conservazione degli attuali istituti tecnici all’interno dei percorsi liceali al fine di tentare di difenderne l’attuale mix tra preparazione culturale di base e formazione professionalizzante, considerato migliorabile ma sicuramente superiore a quanto prefigurato dai percorsi del canale professionale regionale. Tuttavia, Confindustria, una volta salvati i percorsi che le interessano direttamente, accetta l’architettura della controriforma, disinteressandosi della sorte di quei giovani che, a causa dello svantaggio socio-cultuale di provenienza, sceglieranno percorsi deboli e insufficienti per la cittadinanza e il lavoro, oppure vi scivoleranno dopo aver fallito nei percorsi liceali. Un atteggiamento davvero cinico, incapace di visione generale, tutto schiacciato sulle necessità del presente e privo di visione strategica. Una scelta discutibile anche dal punto di vista dei risultati ottenuti, visto che il prezzo pagato per la salvaguardia dei tecnici nei percorsi liceali è il consistente indebolimento del loro impianto professionalizzante.
Si delinea, inoltre, un area politica e sociale non filo-governativa, ma contraria alla cancellazione della legge 53, perché ritiene non ulteriormente prorogabile una riforma della scuola nel nostro paese, in particolar modo della secondaria superiore, vera e propria araba fenice del riformismo scolastico italiano. Pertanto costoro sostengono che dobbiamo tenerci questa, cercando di modificarla e adattarla nel corso dell’attuazione.

Le scelte sbagliate della legge 53 e del decreto secondaria

Sarebbe fin troppo facile obiettare che ad una strategia del genere dovrebbe corrispondere un atteggiamento dialogante del governo, il che non solo non si è mai visto, ma rischia addirittura di peggiorare, essendo iniziata una lunghissima campagna elettorale dove le questioni di merito sono l’ultima delle preoccupazioni.
Inoltre, per essere sostenibile e migliorabile, una riforma deve rispondere positivamente alla questione fondamentale posta già nel 1948 dal decreto istitutivo della Commissione Gonnella (la prima di una lunga serie): “Adeguare l’ordinamento della secondaria superiore alle trasformazioni sociali ed economiche avvenute nel paese”. Qui sta il punto: questa riforma non risponde al bisogno del paese di fronteggiare le sfide della società e dell’economia della conoscenza. L’errore di fondo consiste esattamente nelle due principali novità introdotte attraverso l’abrogazione del precedente impianto riformatore (legge 9/99 e legge 30/2000): la canalizzazione precoce e il modello duale.
Con la canalizzazione precoce si rinuncia alla spinta inclusiva messa in atto dall’innalzamento dell’obbligo scolastico, necessaria al paese per innalzare i livelli di istruzione di tutti.
Con il doppio canale si determinano percorsi (istruzione e formazione professionale e apprendistato) finalizzati al lavoro, privi della proclamata pari dignità per durata, accesso all’università, finalizzazione, assetto orario e curriculare e inadeguati ad assicurare una sufficiente formazione di base culturale e professionale.
Il compromesso realizzato dal decreto rispetto all’impostazione iniziale è, infine, riuscito nella non facile impresa di peggiorare la situazione. La scelta dei licei con indirizzi, che permette a tutti gli istituti tecnici e probabilmente anche i professionali quinquennali di restare all’interno del sistema dei licei, determina la residualità del canale professionale regionale, un percorso per lo svantaggio socio-culturale, drop out italiani e alunni stranieri. L’utenza lo ha capito al volo e, di conseguenza, fugge verso i licei con probabile aumento dell’insuccesso e della dispersione scolastica.
Le conseguenze di queste scelte non solo impediscono alla riforma di dare una positiva risposta ai bisogni del paese, ma, per molti aspetti, peggiorano la situazione anche rispetto al presente.
Infatti, i cambiamenti introdotti dal decreto:

non servono a raggiungere l’obiettivo di portare al diploma entro il 2010 l’85% dei giovani italiani (strategia di Lisbona) e di puntare a far raggiungere a tutti il diploma, inteso come soglia culturale minima per essere cittadini consapevoli e lavoratori occupabili: l’attuale 30% che non arriva al diploma continuerà a restare sotto tale soglia, finendo nel canale professionale regionale o nell’apprendistato;

non servono a potenziare la cultura scientifica, tecnica, tecnologica e professionale del paese, obiettivo condiviso da tutte le parti sociali (vedi documento approvato dal CNEL) oltre che obiettivo dell’Unione Europea, perché i percorsi professionalizzanti regionali sono evidentemente inferiori agli attuali percorsi degli istituti tecnici e professionali e lo stesso vale per i percorsi liceali con indirizzi perché “licealizzano” gli attuali percorsi rendendoli molto meno professionalizzanti;

non serve a migliorare i licei senza indirizzi perché tutto viene più o meno lasciato così come è, compresa la storica gerarchia che pone la vertice il liceo classico (l’unico ad assicurare l’accesso a tutte le facoltà universitarie), con buona pace della pari dignità di tutti i licei, della valorizzazione dei percorsi scientifici e tecnici e del potenziamento del rapporto tra sapere e saper fare.

Piattaforme territoriali per la scuola che vogliamo

Come si vede un bel pasticcio, da cancellare al più presto, approfittando del fatto che fino ad oggi nel primo ciclo nulla è stato effettivamente attuato e nel secondo ciclo sarà piuttosto difficile partire dall’anno scolastico 2006/07.
Occorre, a questo fine, dare seguito alle iniziative nazionali caratterizzate dalle più ampie alleanze, come la manifestazione nazionale del Forum “Fermiamo la Moratti” del 13 maggio scorso, accentuando sempre più gli aspetti di coerenza della proposta alternativa alle scelte del governo.
Anche perché, intanto, qualcosa è cambiato: dopo le elezioni regionali le nuove giunte avranno a disposizione, fuori dalla fase transitoria, le nuove prerogative previste dall’attuale Titolo V della Costituzione, che si connettono a quelle previste per gli Enti Locali e per le Istituzioni Scolastiche Autonome.
Servono, allora, proposte alternative (vedi programma della conoscenza della CGIL) che delineino un orizzonte politico entro il quale sia possibile ottenere risultati, utilizzando gli spazi delle nuove competenze delle regioni, degli enti locali e delle scuole autonome.
Si tratta di valorizzare i diversi accordi per lo sviluppo locale o settoriale, raggiunti dalle parti sociali e dalle istituzioni locali, che rappresentano una risorsa decisiva per realizzare politiche per lo sviluppo che pongano al centro la formazione e la ricerca.
Restare in attesa dell’esito elettorale è sbagliato e controproducente, la scuola che verrà sarà quella che vogliamo se cominciamo a costruirla oggi utilizzando tutti gli spazi a disposizione.
Ciò significa che Regioni e Enti Locali devono confrontarsi con piattaforme territoriali, definite unitariamente dalle confederazioni sindacali e sostenute dalle più ampie alleanze sociali, finalizzate a realizzare politiche formative alternative a quelle del governo, a qualificare l’offerta formativa e a renderla coerente con gli obiettivi di sviluppo del territorio.
L’attribuzione, nell’ambito dei bilanci regionali, del carattere di priorità agli investimenti in formazione e ricerca rappresenta il primo obiettivo.
I contenuti delle piattaforme potranno poi essere individuati in relazione alle esigenze locali e ad alcune questioni generali quali: formazione e ricerca per lo sviluppo locale (coordinare e mettere in rete le imprese, università, enti di ricerca), politiche per l’infanzia (espansione dei nidi e generalizzazione quantitativa e qualitativa della scuola dell’infanzia), sostegno all’autonomia scolastica (utilizzazione delle competenze delle regioni sulla distribuzione degli organici e la definizione della rete scolastica per difendere il tempo pieno e prolungato e per valorizzare le esperienze di continuità educativa, di integrazione tra scuola, formazione professionale e lavoro, di integrazione degli stranieri e dei diversamente abili), potenziamento dell’offerta di educazione degli adulti (programmazione e utilizzo integrato di tutte le risorse disponibili).

Fabrizio Dacrema
Coordinatore Dipartimento Formazione e Ricerca CGIL
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